Francesco Scacchi cronista del secolo XVI

Francesco Scacchi (1577-1656), uno dei migliori cittadini fabrianesi:  distinto medico, pioniere dietologo, cronista, benefattore e membro dell’Accademia dei Disuniti.
Francesco Scacchi già ricordato dal Marcoaldi (1873) e dal Sassi ( 1925), figlio di Durante Scacchi, iniziatore della famosa scuola di medicina preciana, esercitò la professione medica a Roma presso il Cardinale Ottavio Bandini (1558-1629), Protettore dell’Ordine della Santa Trinità, e scrisse in latino un interessante testo:
De salubri potu dissertatio [Dissertazione sulla bevanda salutare], pubblicato a Roma da Alessandro Zanetti nel 1622. Il libro è arricchito da una bell’antiporta riproducente il ritratto del Cardinale Bandini, sorretto da due putti; detto testo contiene pure una tavola con alcune interessanti illustrazioni xilografiche. Il volume è molto raro; si calcola che oggi n’esistano solo una quindicina di copie originali distribuite nelle migliori biblioteche nazionali ed estere incluse quelle d’alcuni inveterati enobibliofili.

Ci piace qui ricordare che una copia di questo volume è pure posseduta dalla Biblioteca Comunale di Fabriano.

Nell’illustrazione: otto immagini di strumenti (dell’autore e dei Giapponesi) per scaldare e raffreddare bevande (pag. 95 di “De salubri…”).

Lo scopo principale del libro di Francesco Scacchi è quello di esaminare la prassi – il modo e l’arte – del bere e di raccomandarne il suo uso migliore. Il tomo consiste di 22 capitoli, il primo dei quali tratta l’argomento se il vino deve essere bevuto caldo, freddo o a temperatura ambiente.
Nei capitoli successivi, l’autore suggerisce di bere il vino moderatamente e di non abusarne e fornisce anche molte informazioni sui diversi tipi di vini. Nel suo tomo lo Scacchi riporta e commenta quotazioni sul bere d’antichi naturalisti/medici come Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e Galeno (129-201 d.C.).
L’importanza del libro ebbe un revival negli anni ’90 a motivo dell’attribuzione allo Scacchi di aver descritto nel libro metodi con cui si rendevano frizzanti i vini a quel tempo. In realtà, uno dei primi a citare questo fatto fu il celebre storico enologo e gastronomico, André Louis Simon (1877-1970), nel suo classico libro Bibliotheca vinaria pubblicato per la prima volta a Londra  nel 1913 in una edizione limitata di 180 copie. Il Simon infatti riportava nella prima parte della sua suo pubblicazione che il libro di Francesco Scacchi conteneva una descrizione di come fare il vino frizzante… “This work contains a description of making sparkling wine”. Il molteplice interesse per detta opera indusse la Fondazione della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana a sponsorizzare la traduzione del testo e la sua pubblicazione, che avvenne nel novembre 2000, in toto in entrambe le lingue.  Questo fatto merita particolare menzione e riconoscimento poiché è assai raro, se non rarissimo, che in Italia sia imprenditori editoriali o fondazioni sponsorizzino le traduzioni in italiano d’importanti testi scritti in latino, specialmente nel campo medico e biologico – basti pensare alle grandi opere nel campo dell’ornitologia e dell’entomologia dell’eminente naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605) mai trasportate nell’italica favella.

lo Scacchi cronista del suo tempo
 un particolare questo un po’ ignorato dai vari storici. Lo Scacchi, infatti, nel suo libro ci parla dell’arrivo e del soggiorno a Roma di un gruppo d’ambasciatori giapponesi per ossequiare Papa Paolo V nell’anno 1615, ossia l’anno 11 del suo papato.  I giapponesi avevano portato con loro foglie di tè per prepararne la bevanda. Questo dettaglio aveva già colpito l’attenzione di Romualdo Sassi che nella sua pubblicazione sui medici preciani (1925), commentando sulle bevande prodotte dai giapponesi, si domandava se la bevanda “verde” chiamata chià “ottenuta con le foglie polverizzate e bollite d’una pianta ignota in Europa” non fosse il tè; in effetti il Sassi aveva ragione, infatti anche oggi la parola chià [pronuncia cià] in giapponese significa tè.  Inoltre, come si legge nella traduzione di Renato Romizi, il tè, affermerebbe lo Scacchi, avrebbe “una grandissima efficacia, come medicina, infatti, rinfresca moltissimo, giova alla testa, consolida le forze ed è abbastanza capace di prolungare la vita, senza nessuna malattia”. Questi attributi sono abbastanza reali poiché oggi alcuni biologi attribuiscono all’uso del tè, un fattore contribuente alla longevità dei Giapponesi, la più alta del mondo. Lo Scacchi poi descrive l’uso del sachè, ci sembra questo per la prima volta in Europa, che secondo l’autore fabrianese si berrebbe freddo d’estate e caldo d’inverno.

 

Il sachè [o nihonshu o vino giapponese] è un vino fatto con riso ed acqua e con l’aggiunta di lieviti e di muffe; in verità, i giapponesi usano solo due tipi di riso: quello giapponese (Oryza sativa var. japonica) e quello indiano (O. sativa var. indica). Da notare pure che molti giapponesi opinano che la qualità dell’acqua sia un fattore molto importante per la produzione di un ottimo sachè.

Il sachè è un vino che in Giappone si beve anche per brindare nelle cerimonie ufficiali; si potrebbe ricordare a tale proposito che nella seconda guerra mondiale i kamikaze giapponesi bevevano il sachè in una coppa di porcellana brindando alla patria e all’imperatore prima di partire per il loro ultimo volo. Il Sacchi tradusse molto correttamente la parola giapponese kome (riso) in latino come oryza; infelicemente, alcuni traduttori, hanno poi scorrettamente ritradotto in italiano la parola latina oryza come orzo, e non come riso [orzo in latino è hordeum]. Il Sacchi nella sua discussione tiene a precisare che, contrariamente a quanto creduto a quel tempo, sia i cinesi che i giapponesi bevevano bevande fredde nell’estate e calde in inverno.

Il nostro fabrianese da buon cronista e con un acuto interesse per queste bevande giapponesi descrive e riproduce – in una tavola contenenti otto illustrazioni xilografiche – gli arnesi (frigidario e calidario) a quel tempo usati dai giapponesi per la preparazione delle due bevande come pure gli strumenti  messi da lui a punto (basandosi sui modelli giapponesi) per raffreddare o scaldare le bevande.
Da notare che le teiere in ferro e le bottigliette in ceramica effigiate dal Sacchi nel 1622 vengono tuttora usate in Giappone per preparare tè e sachè.  Il Sacchi, come dice il Sassi, “è stato a lungo ricordato a Fabriano per un atto di liberalità verso i disgraziati”.  Infatti pochi mesi “prima di scendere a dormire il sonno eterno nella tomba di famiglia in S. Venanzo” lasciava la somma di 2500 scudi per un monte di pietà intitolato alla Vergine. Si spegneva così, “ormai ottantenne”, una fulgida figura fabrianese (a cui purtroppo non è mai stata dedicata una via), simbolo della grande e famosa medicina preciana.